Silenzio, il nemico ci ascolta

Napoli- Nell’epoca del “grande Fratello”, dove i reality show sembrano essere diventati l’unica forma di “cultura” di cui è capace la televisione sia pubblica che privata, ci si accorge, all’improvviso, di non essere più liberi!

Sì, un’enorme “prigione” ci costringe e ci sorveglia; infatti, se già da tempo si sa che e-mails e sms sono continuamente controllati, dallo scandalo scoppiato pochi mesi or sono in Telecom, si è appreso che anche una semplice telefonata fatta dal cellulare o da un telefono di rete fissa, potrebbe essere intercettata senza autorizzazione della magistratura e, come se ciò non fosse già di per sé di una gravità inaudita, magari, data “in pasto” a qualche giornalista che, incurante della normativa sulla privacy e spalleggiato anche da una legislazione lacunosa ed a tratti assente, pubblica, spesso “ricamandoci” sopra, tutto il contenuto delle intercettazioni fornitegli, ovviamente senza omettere, in nome di un improbabile diritto di informazione, neanche le generalità dettagliate dell’intercettato.

Fino al 21 settembre 2006, la materia in questione era disciplinata (si fa per dire) in modo quantomeno farraginoso ed incompleto.

In data 22 settembre 2006, solo dopo ripetuti scandali, secondo un perfetto “stile Italia”, è emanato il Decreto-Legge n. 259, recante disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche.

Tale norma è stata convertita con modifiche nella Legge 20 novembre 2006 n.281, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 271 del 21 novembre 2006 ed entrata in vigore in data 22 novembre dello stesso anno.

La prima modifica apportata dalla legge di cui sopra, è relativa all’articolo 240 c.p.p.; infatti, a tale articolo, sono stati aggiunti diversi commi e precisamente:

  • comma 2: “Il Pubblico Ministero dispone l’immediata segretazione e la custodia in luogo protetto dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti”, precisando poi: “Allo stesso modo provvede per i documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni. Di essi e’ vietato effettuare copia in qualunque forma e in qualunque fase del procedimento ed il loro contenuto non può essere utilizzato”;
  • comma 3: “Il Pubblico Ministero, acquisiti i documenti, i supporti e gli atti di cui al comma 2, entro quarantotto ore, chiede al Giudice per le Indagini Preliminari di disporne la distruzione”;
  • comma 4: quest’ultimo, “entro le successive quarantotto ore fissa l’udienza da tenersi entro dieci giorni, ai sensi dell’articolo 127 c.p.p., dando avviso a tutte le parti interessate, che potranno nominare un difensore di fiducia, almeno tre giorni prima della data dell’udienza”;
  • comma 5: “Sentite le parti comparse, il G.I.P. legge il provvedimento in udienza e, nel caso ritenga sussistenti i presupposti di cui al comma 2, dispone la distruzione dei documenti, dei supporti e degli atti di cui al medesimo comma 2 e vi dà esecuzione subito dopo alla presenza del P.M. e dei difensori delle parti”;
  • comma 6: “Delle operazioni di distruzione è redatto apposito verbale, nel quale si dà atto dell’avvenuta intercettazione o detenzione o acquisizione illecita dei documenti, dei supporti e degli atti di cui al comma 2 nonché delle modalità e dei mezzi usati oltre che dei soggetti interessati, senza alcun riferimento al contenuto degli stessi documenti, supporti e atti”.

Una chiosa fondamentale, a modesto avviso di chi scrive, è quella che la Legge in questione ha apportato all’articolo 512 del codice di procedura penale, laddove, dopo il comma 1 si legge adesso: 1-bis “è sempre consentita la lettura dei verbali relativi all’acquisizione ed alle operazioni di distruzione degli atti di cui all’articolo 240”.

Le violazioni di quanto sopra sono considerate, dal testo legislativo in esame, finalmente dei reati; infatti, “chiunque consapevolmente detiene gli atti, i supporti o i documenti di cui sia stata disposta la distruzione ai sensi dell’articolo 240 del Codice di Procedura Penale” adesso “è punito con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni”; ma vi è di più: “si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni se il” reo “è un pubblico ufficiale od un incaricato di un pubblico servizio.

L’azione può essere proposta da parte di coloro a cui i detti atti o documenti fanno riferimento e si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della pubblicazione. Agli effetti della prova della corrispondenza degli atti o dei documenti pubblicati con quelli di cui al comma 2 dell’articolo 240 del codice di procedura penale, fa fede il verbale di cui al comma 6 dello stesso articolo.

Fin qui nulla quaestio, perchè con la Legge 281 del 2006, almeno si è tentato di dare un segnale che, pur non essendo come è ovvio la panacea di tutti i mali relativi al mondo delle intercettazioni telefoniche, è tuttavia utile per far presente, ancora troppo debolmente però, che la privacy esiste ed esistono ancora norme che ne impongono il rispetto e la tutela; ma, scorrendo il testo di detta Legge, balza immediatamente agli occhi un’anomalia e segnatamente: “a titolo di riparazione può essere richiesta all’autore della pubblicazione degli atti o dei documenti di cui al comma 2 dell’articolo 240 del c.p.p., al direttore responsabile e all’editore, in solido fra loro, una somma di denaro determinata in ragione di cinquanta centesimi per ogni copia stampata, ovvero da 50000 a 1000000 di euro secondo l’entità del bacino di utenza ove la diffusione sia avvenuta con mezzo radiofonico, televisivo o telematico. In ogni caso, l’entità della riparazione non può essere inferiore a 10000 euro”.

In questo modo, non è troppo penalizzato chi, lavorando, fa comunque il proprio dovere, scaricando di ogni responsabilità chi invece fornisce il materiale vietato a chi opera nel campo dell’informazione, atteso che nelle due norme citate nel presente articolo (Decreto-Legge 259 e Legge 281 entrambe del 2006) non v’è alcun riferimento a tali soggetti?

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