Napoli- Sin dalla nascita del presente sito (quindi anche dalla nascita de “la nostra opinione”), si è cercato di mettere in luce incoerenze, anomalie, lacune e stravaganze dell’Ordinamento giuridico Italiano.
Questo articolo prova a porre l’accento su un argomento che, pur potendo essere considerato una semplice anomalia, per la rilevanza giuridica e sociale che ha, è molto di più. L’articolo 624 C.P. (furto) recita: “chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa” (secondo la vecchia moneta) “da lire trecentomila a un milione”, considerando cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico.
Il secondo comma di detto articolo aggiunge: “il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Fin qui, ovviamente, è tutto normale; ma, scorrendo il codice penale, qualcosa di strano balza immediatamente agli occhi.
L’articolo 625 del medesimo codice, infatti, recita: “la pena per il fatto previsto dall’articolo 624 è della reclusione da uno a sei anni e della multa da lire duecentomila a due milioni” se: l’autore usa violenza sulle cose o si avvale di un qualsiasi mezzo fraudolento, agisce con destrezza, porta con sè armi o narcotici senza farne uso, il reato è commesso da tre o più persone ovvero anche da una sola che sia travisata o simuli la qualità di pubblico ufficiale o d’incaricato di un pubblico servizio, se il furto è commesso sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicoli, nelle stazioni, negli scali o banchine, negli alberghi o in altri esercizi ove si somministrano cibi o bevande, o se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza, se si è agito su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria”.
Quando il reato in questione consumato o tentato avviene nelle predette modalità, si parla di furto aggravato che, contrariamente a quanto detto per la fattispecie prevista dall’articolo 624, è procedibile di ufficio: senza querela.
Altra ipotesi di furto aggravato è quella che si configura quando il reo agisce causando alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità (articolo 61 n° 7 C.P.).
Adesso, però, facciamo un piccolo passo indietro rispetto all’articolo 625; infatti, l’articolo 624 bis recita: “chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene al fine di trarne profitto per sé o per altri mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da lire seicentomila a due milioni”, precisando poi, al secondo comma, che alla stessa pena soggiace chi si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso alla vittima. Quest’ultimo reato, come il furto aggravato, è perseguibile di ufficio.
Inoltre, se l’impossessamento della cosa mobile altrui avviene con violenza sulla vittima o con minaccia, in quel caso si parla di rapina (articolo 628 C.P.). Tale delitto, perseguibile di ufficio, può essere semplice o aggravato.
A questo punto ci si potrebbe domandare: ma quando si configura il reato di furto semplice, non aggravato?
L’illecito penale previsto e punito dall’articolo 624 C.P., purtroppo, salvo modifiche che possono intervenire durante il processo, è difficilmente configurabile; infatti, si può mai immaginare un furto, ad esempio, senza destrezza, o senza l’uso di violenza sulle cose, o senza armi o narcotici sia pur inutilizzati, o senza strappo?
Il Codice Penale, come abbiamo visto, non solo prevede molte altre circostanze aggravanti, ma anche diverse ipotesi criminose simili ma indipendenti da quella di cui all’articolo 624 C.P. e ciò senza prendere in considerazione il furto del militare di cui agli articoli 230-233 del codice penale militare di pace ed il furto commesso a bordo da parte di componente l’equipaggio, di cui all’articolo 1148 del codice della navigazione e, considerato anche il “legislatore ufficioso”, si può concludere affermando che il furto, così come configurato dall’articolo 624 del codice penale è un reato previsto dall’ordinamento giuridico, ma quasi mai contestato ab origine dalle varie Procure della Repubblica!
L’espressione “legislatore ufficioso” non è casuale; infatti, (ciò vale per tutte le norme) il Parlamento (Camera dei Deputati e Senato della Repubblica) emana una legge; essa, previa promulgazione del Capo dello Stato e successivamente alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, entra in vigore.
A questo punto entra in “gioco” il “secondo Legislatore”: la giurisprudenza.
Quest’ultima, come è noto, è costituita dall’insieme, in prevalenza, delle sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione. La prima, senza limiti di tempo, controlla su “richiesta” la legittimità costituzionale di tutte le norme o di parte di esse e, cioè, il rispetto di quanto sancito dalla costituzione.
Se detto controllo fa emergere un contrasto tra il dettato legislativo e quello costituzionale, l’oggetto dell'”esame” non può essere applicato. La seconda, invece, funge da terzo grado di giudizio e le sue sentenze, soprattutto se pronunciate a sezioni unite, diventano una sorta di “Vangelo” giuridico che, oltre a creare un precedente che è un valido orientamento per tutti gli operatori del diritto unitamente alle sentenze di tutti i Tribunali, le Corti di Appello e le Corti di Assise, spesso sembra sostituirsi completamente alla norma.
L’argomento in questione, però, sembra trovare d’accordo “il Legislatore ufficioso” con quello ufficiale nell’avvalorare, implicitamente ed in linea di massima, la tesi della difficile contestazione del furto sic et simpliciter, attesa anche la continua disputa, in dottrina, circa le nozioni di possesso e detenzione che, relativamente al concetto di cosa mobile, ne costituisce il presupposto.